Tre colori – Blu


Ci sono in effetti opere che lo dichiarano apertamente di essere un film sulla morte, ma in tutte le creazioni cinematografiche c’è un rimando, un accenno, un riflesso sulla morte, perché il cinema racconta la vita, anche se fantasiosa, e della vita fa sempre parte la morte, sarebbe interessante fare casomai una lista di film che non accennano mai, neppure per un fotogramma ad essa.

La copertina di questa sezione è tratta da una scena di Film Blu (1993) di Krzystof Kieślowski; Julie, il personaggio principale, è intenta ad osservare il lampadario a gocce blu che era stato della figlia, morta a pochi anni, all’inizio della pellicola. Tutto il film è una ghirlanda di elaborazione del lutto, intorno ai tentativi di lasciar andare chi e ciò che non esiste più, sistemarne i capitoli lasciati aperti ed incompiuti, costruire qualcosa di nuovo, mantenere un legame con ciò che del passato ha ancora senso e che non crea troppo dolore, o che lo crea ma che possa essere tollerabile e anch’esso abbia un senso. Forse Film Blu non è un film sulla morte, ma è un film sul senso della vita, sulla ricerca di senso nella vita, ma che cos’è la morte per chi è ancora in vita, se non il monito della ricerca di senso? 

Quando ho pensato alla lista da comporre, il primo film che mi è venuto in mente è stato questo, in un flash, immediato, non Il settimo sigillo di Bergman o Questi fantasmi di Castellani o The others di Amenábar o Still life di Umberto Pasolini o Departures di Yōjirō Takita e potrei andare avanti per righe e righe e me lo risparmio perché una lista la faremo insieme, ho pensato a Film Blu e a quel suo procedere dalla disperazione dell’incipit fino alla malinconica accettazione e rivalsa della fine, che ci ricorda che l’unico senso della vita è la ricerca di amore, nell’accezione più ampia che questa parola possa avere. Dalla morte di ciò che ci è più caro, che rappresenta tutta la nostra sicurezza e base per un futuro, può nascere qualcosa di profondamente autentico e rappresentativo del nostro essere, può essere un nuovo io che diviene un noi, la nostra mano tesa che dà e prende amore. 

E di nuovo, amore e morte.

Voglio riportare qua uno stralcio di intervista che venne fatta a Kieślowski nel 1994 da Marina Fabbri, quando ormai la Trilogia dei colori era ormai uscita nei cinema:

“Di recente ho rivisto al cinema Film blu e sono rimasto colpito perché, ancora al momento del montaggio, avevo avuto l’impressione che l’Inno all’amore della Lettera ai Corinzi di San Paolo, usato nel film, finisse per avere un’insistenza forte, che fosse esagerato, patetico. Mentre oggi, nel gennaio del 1994 mi sembra quasi che sia fin troppo poco, di fronte a ciò che succede intorno. Mi sembra che quel canto, quel grido o richiamo alla necessità della fratellanza tra gli uomini, alla necessità dell’amore, oggi sia del tutto adeguato a quello che sta succedendo intorno a noi. E succedono cose assolutamente orribili, come una sorta di calco del passato, delle cose peggiori accadute in questo continente, e di molte altre cose che forse ancora non accadono, ma i cui echi lontani sentiamo già avvicinarsi.”

Era il 1994 e non sembra assolutamente che siano passati 30 anni.

Buona visione!


Intanto qua, la scena finale