La morte nel teatro, la morte nella lirica, sul palcoscenico quante morti celebri abbiamo visto? Eppure la prima che mi è venuta in mente è quella di Guglielmo Speranza nella commedia di Eduardo De Filippo Gli esami non finiscono mai (1973).
Qual è l’ultimo esame che una persona deve sostenere, se non la propria morte?
In modo sarcastico e decisamente amaro, Eduardo De Filippo racconta la storia del povero Guglielmo Speranza, il cui nome dice già tutto, dalla sua giovinezza alla sua dipartita.
Guglielmo Speranza (chi visse sperando morì… si dice dalle mie parti!) era un giovane di molte speranze, ma non riusciva mai a raggiungere le aspettative altrui, sempre sotto giudizio, con la lente di ingrandimento sulle proprie azioni, sui propri sogni, sulle proprie aspettative, sempre vittima del giudizio, delle dicerie e cattiverie altrui, gli insegnanti, il prete, il suocero, la moglie, addirittura i figli, solo l’amante che per un breve periodo accompagna la sua vita riesce a donargli un po’ di felicità, ma anche lei alla fine lo abbandona a causa del giudizio degli altri.
Stremato ormai dagli anni e dalla delusione, decide di infliggersi una morte sociale, non un suicidio, ma una morte civile che lo vede recludersi in casa, esimersi da ogni rapporto col mondo, addirittura si toglie la parola, sicuro che quella morte simbolica lo avrebbe condotto quanto prima ad una dipartita vera e propria.
L’uomo sa che deve morire e che non c’è niente da fare. Sa pure che non può ritardare la morte, è vero, ma sa con certezza che quando comincia a vivere come un albero, quando passa le giornate sdraiato in poltrona a leggere libri e giornali, la fine non può essere lontana. Di libri e giornali si può morire.
Ma il buon Guglielmo non aveva calcolato che, per quanto si possano prendere decisioni autonome, bisogna sempre fare i conti con gli altri, che a volte, sono un vero e proprio inferno; non lo lasciano nemmeno morire in pace, pover’uomo, e i familiari lo sottopongono al consulto di tre medici, che, di nuovo, lo mettono davanti ad altri esami.
Finalmente Guglielmo Speranza riesce a morire, a liberarsi del peso dell’incomunicabilità, dell’incomprensione, del giudizio, della finzione, dell’amarezza, che ahi lui lo accompagnano sin nella tomba: davanti al sagrato, dove appena ha sfilato il suo feretro, gli ultimi astanti commentano il suo funerale, non equiparabile certo a quello di persone più in vista, una cosa piccola la sua, modesta, perché Guglielmo Speranza non ha saputo nemmeno morire.